ANNA

MANENTI

POWERLIFTING

SPECIALISTA IN STACCO DA TERRA SUMO

Mi presento, sono Anna Manenti, Coach La Forza. Lavoro al Centro La Forza di Reggio Emilia come Coach. Il mio campo d’azione è sostanzialmente il Powerlifting, ma ritengo che questo metodo di lavoro sia applicabile anche al Fitness.

 

Il mio percorso da atleta mi ha consentito di capire moltissimo sulle percezioni in allenamento, in particolare durante le Alzate Fondamentali. Allenare una persona richiede un certo grado di empatia e capacità di interpretare le sensazioni del soggetto, che si devono in primis sperimentare su sé stessi. Un allenatore che non è stato atleta, a mio avviso, anche se può avere un buon occhio esterno sulla tecnica, avrà difficoltà a capire le sensazioni interne del soggetto e i suoi input, di conseguenza, si limiteranno ad una chiave interpretativa superficiale e visiva poco chiara per l’atleta, invece che sensoriale/tattile.

Allenare è un processo molto delicato: ogni input che l’allenatore fornisce deve essere calibrato e studiato sulla situazione.

Ad esempio per impostare un principiante dovremo utilizzare un mix di input, alcuni che richiamano ad uno schema motorio precedentemente acquisito (ad esempio nello Stacco da Terra, per far capire il posizionamento iniziale, utilizzo molto la metafora del salto – se ci si posiziona per saltare verso l’alto si è effettivamente nella posizione da cui poter generare più forza possibile in senso perpendicolare al terreno), altri che invece sono spiegazioni tecniche più classiche, che consentono al soggetto capire dov’è l’errore. Su chi ha già acquisito il movimento corretto e sta cominciando ad approcciarsi a percentuali di carico più elevate, generalmente andremo a lavorare sull’assetto mentale di relax, togliendo eventuali rigidità parassite dettate dal carico. In alcuni casi il soggetto ha una rappresentazione mentale distorta dell’alzata che va modificata in profondità, mentre al contrario un atleta con esperienza e con alzate quasi perfette necessiterà di input molto mirati e dettagliati che non vadano a sradicare l’automatismo che si è creato, in altre parole dovremo andare a ritoccare la superficie senza intaccare la struttura e in questa condizione dobbiamo essere molto delicati.

Sono convinta che il compito principale dell’allenatore debba essere quello di fornire gli strumenti all’atleta per capire quando sta facendo la cosa giusta e quando sta facendo la cosa sbagliata. L’atleta deve seguire un percorso di crescita continua e non parlo solo di kg sollevati ma soprattutto di consapevolezza, deve conoscere e riconoscere le sensazioni che si hanno quando si esegue un’alzata perfetta. Questa per me è la vera chiave del miglioramento. Purtroppo, per quanta coscienza potremo aver maturato come atleti, avremo sempre un qualche difetto nell’alzata e internamente non sempre riusciremo a percepirlo, viziati dall’abitudine o dalla ricerca della “facilità”. O ancora, magari sentiamo che l’alzata non è quello che dovrebbe essere ma non capiamo quale sia l’errore. Ed è per questo che serve un occhio esterno che periodicamente ci “ripulisca”.

In tutto questo la programmazione ha il ruolo di accompagnare il soggetto nelle sue fasi di apprendimento motorio, dandogli modo di mettersi sempre di più alla prova. Dalla fase iniziale tecnica si deve arrivare ad una fase più istintiva in cui l’atleta si “libera” dalla ricerca dei feedback positivi per agire, e basta. Ciclicamente la tecnica andrà ripresa per oltrepassare ogni volta il proprio limite, raggiungendo nuovi livelli di consapevolezza.

 

Un altro aspetto che reputo interessante è la diretta correlazione tra sviluppo ipertrofico e capacità tecnica. Un corpo armonico e con una struttura muscolare proporzionata generalmente è indicativo di una buona qualità tecnica. Se è vero che proporzioni e tecnica vanno di pari passo, è anche vero che è possibile tarare l’allenamento in modo da equilibrare le varie parti del corpo e metterlo quindi nelle condizioni ottimali per eseguire le alzate nel modo corretto, sia perché andiamo a lavorare sugli schemi motori, sia perché andiamo a costruire una base muscolare. Questo lavoro va fatto sia attraverso l’uso di varianti che attraverso i complementari. In particolare sui complementari mi piace insegnare utilizzando i Punti di Contatto. Avere un punto di riferimento fisso rende davvero intuitivo l’esercizio e permette all’atleta di sviluppare un’ottima padronanza del nuovo gesto in tempi rapidi.

 

Personalmente richiedo ai miei atleti impegno e costanza. E’ inutile lavorare in modo fine durante i coaching e strutturare una programmazione sul lungo periodo se mancano questi requisiti.

 

 

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